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Le Risonanze Del Big Ben

Le Risonanze del Big Ben

LA LINGUA INGLESE NELLA SCUOLA PER L’INFANZIA

 

Campi di Esperienza prevalenti: Il Sé e l’Altro – Immagini-Suoni-Colori – I Discorsi e le Parole – La conoscenza del Mondo

 

Perché risonanza? I suoni linguistici devono circolare e provocare feedback individualizzati nel rapporto educatore-educando; per un apprendimento condiviso da entrambe le parti, secondo i propri tempi e bisogni.

La scuola per l’infanzia Mister Fogg propone ai/le propri/e bambini/e un percorso multi-didattico caratterizzato da un progetto bilingue, lingua madre/lingua inglese (Metodo Mister Fogg: S-R-L): le attività esperienziali, inerenti ai progetti e non (ruotine), avvengono in un ambiente di intercomunicazione, comunicazione circolare, maestre/i-bambini/e-operatori/ci, utilizzando sia la lingua madre che la lingua inglese in abbinamento iniziale per poi lasciare con gradualità la lingua madre (individualizzazione dell’approccio di apprendimento).

Secondo Martin Dodman, un ambiente di apprendimento multilingue promuove il plurilinguismo nei bambini. Per plurilinguismo si intende il “linguaggiare”, cioè utilizzare e riconoscere diversi tipi di linguaggio: corporeo, visivo, sonoro, naturale, tattile, olfattivo (si pensi ai 100 linguaggi secondo Malaguzzi e i 12 sensi secondo Steiner). Ecco perciò l’importanza dell’approccio alla lingua inglese da una parte (multilinguismo) e il rafforzamento dell’educazione sensoriale dall’altra (plurilinguismo), già a partire dai primissimi anni di vita.

Lo sviluppo dell’individuo è un processo continuo, dalla culla ai capelli d’argento; è un lungo percorso longitudinale nel ciclo della vita che incrocia quello trasversale dell’arco della vita: la “trama” e “l’ordito” del proprio “romanzo” esistenziale. A partire dalla “casa madre” (la famiglia) e proseguendo con le “case sociali” (agenzie educative: scuola, comunità, sport, tempo libero, società) ciascuno di noi sviluppa il proprio e personale “villaggio globale” che, in quanto essere animali sociali, deve essere un “villaggio”, sia interiore che esteriore, la cui bandiera ha i colori della solidarietà, del rispetto e dell’inclusione, verso ogni villaggio altro, scoperto, conosciuto e ri-conosciuto.

Le lingue e i linguaggi, tipiche proprietà dell’essere umano, sono indispensabili nella giusta costruzione dell’identità personale, culturale e sociale (si veda lo sviluppo psicosociale in 8 fasi di Erikson); quindi anche per tracciare le aree topografiche, territoriali, di esplorazione e scoperta di questo “villaggio globale” (è un approccio sistemico-relazionale nell’analisi dell’individuo così come indicato anche dallo psichiatra V.Andreoli o dal famoso neuropsichiatra infantile M.Zappella).

La capacità di comunicare in diverse lingue è una necessità imprescindibile per l’umanità intera, in questa società liquida in continua evoluzione e metamorfosi; società nella quale l’incontro, la conoscenza, la scoperta dell’altro/a differente da sé è foriera di sviluppo, collaborazione, interazione costruttiva, pensiero divergente, pensiero produttivo, intuitivo, induttivo e deduttivo, di una pedagogia dilatatrice e, perché no, anche di pace, il tutto attraverso una comunicazione non violenta (si ricordi la comunicazione non violenta secondo Rosenberg).

La lingua, a partire dai primi vocalizzi del neonato fino ad arrivare al linguaggio parlato, rappresenta per l’essere umano uno dei principali canali di interazione con il mondo esterno. Naturalmente non è il solo mezzo comunicativo, perché altri linguaggi si intersecano a questo: si pensi alla comunicazione non verbale, ai gesti, alla prossemica, ai comportamenti, al suono del riso, al suono del pianto, alla scrittura, alle forme artistiche. Tuttavia, il parlare rimane uno strumento capace di molteplici funzioni (Renzo Vianello e Roman Jakobson), soprattutto se abbinato e in sinergia con ogni altro linguaggio, affinché quel “linguaggiare” alimenti e nutri sia il singolo che il gruppo, sia l’individualità che la collettività.

Imparare un linguaggio, una lingua, indipendentemente dal come è appreso, che sia per capacità innate (Montessori e N.Chomsky) o acquisite (J.Piaget, L.Vygotskij e la posizione intermedia di J.Bruner), comporta una fertile potenza esperienziale in tutto il processo di sviluppo e crescita. Se i linguaggi sono multipli, aumenta la potenzialità ricavata dalle esperienze educative. Secondo Dodman i bambini nascono predisposti, o pre-adattati da un lungo processo di evoluzione, al linguaggio e dimostrano una capacità di acquisire tutte le lingue del mondo.

La parola può diventare terapeutica, ristrutturante, costruttiva ed equilibrante su diversi fronti nell’interazione con gli altri ed anche la possibilità di narrarsi attraverso un linguaggio verbale consente di curare sé stessi, incentivare la costruzione della propria identità, consolidare l’identità raggiunta, permette di affrontare ogni cambiamento interiore e di arricchire l’altro. Suoni, parole, concetti, silenzi, sono mezzi di interazione e diventano la chiave per educare all’ascolto interiore (“noi siamo un colloquio”), all’ascolto degli altri, a promuovere una coscienza civica e una cittadinanza attiva responsabile (così come ci suggeriscono le linee guida del Ministero). Il linguaggio permette il dialogo, l’adattamento all’esperienza vissuta, la conoscenza e l’azione nei propri ambienti o spazi/tempi di vita, la costruzione di schemi o copioni (script) sui quali dilatare l’interazione.

Imparare una lingua straniera permette una maggiore connessione con gli altri, connessione indispensabile per la partecipazione alla vita, al vivere, al progresso dell’uomo. Lo sviluppo del linguaggio sboccia con un dinamismo prorompente nei primi anni di vita ed è proprio a partire da quegli anni che, questo potente mezzo espressivo, occorre potenziarlo, nutrirlo e proteggerlo. La glottodidattica moderna da diversi anni afferma e dimostra la necessità di avviare il bambino al pluringuismo, rafforzando la propria intelligenza linguistica (tra le intelligenze multiple individuate da Gardner) la quale a sua volta amplifica le capacita cognitive, come l’attenzione, la percezione, il pensiero, la memoria e l’intelligenza in generale, per non parlare del potente mezzo che il linguaggio possiede nel processo di socializzazione e ri-socializzazione durante il percorso della vita comunitaria.

Capacità cognitive sì, socializzazione anche, ma non dimentichiamo l’importanza dei linguaggi per lo sviluppo emotivo, affettivo, la consapevolezza del sé, dei fenomeni esistenziali propri, armonizzati all’esistenza altrui. Si pensi ai linguaggi interattivi nella diade madre-bambino e la potenza che questi assumono per lo sviluppo affettivo, il processo di individuazione, il processo di costruzione del sé, così come studiato dalla psicoanalisi infantile (da A.Freud a M.Klein, da D.Winnicot a R.Spitz, da M.Mahler a F.Dolto). Infine, ma non per ultimo, si ricordi l’importanza del “linguaggio ludico”, delle parole non dette nel gioco, delle modalità del giocare da soli e con gli altri, delle proiezioni ludiche di sentimenti e di conflitti o disagi.

Questi, ed altri, sono i motivi che portano alla volontà di proporre il bilinguismo e il “linguaggiare” nelle agenzie educative che si affacciano dopo la primaria agenzia rappresentata dalla famiglia. Proporre e non imporre, naturalmente, così come precisato da tutto il movimento sperimentale e cosmico della pedagogia attiva, progressiva e nuova (da Dewey a Montessori, dalle sorelle Agazzi alla Dichiarazione di Calais, dall’Europa al Giappone): “…aiutami a fare da solo”.

Nido, scuola per l’infanzia, scuola primaria e secondaria diventano luoghi giusti per la conoscenza di una differente lingua rispetto a quella madre, perché i/le bambini/e, i/le ragazzi/e possiedono una plasticità neuronale tale che consente loro di appropriarsi con maggiore facilità e senza alcuna confusione una lingua straniera. La scuola diventa così un ponte di comunicazione costruttiva tra l’individuo e il gruppo, tra il gruppo e le culture, tra il “micro” e il “macro” (si “impara” meglio in relazione con gli altri da sé).

Imparare una lingua differente aiuta a decentrarsi dal proprio egocentrismo, tipico dell’infanzia, e a sviluppare quella potente ed indispensabile energia interiore rappresentata dall’empatia, dal mettersi nei panni dell’altro per capirlo, comprenderlo, confrontandosi incessantemente, in un processo nel quale è permesso lo scambio continuo tra il “dentro di me e il “fuori da me; processo necessario per vivere, o provare a vivere, con gli altri.

Le ricerche glottodidattiche sul cervello bilingue hanno dimostrato che il bilinguismo nei bambini e nelle bambine, nei ragazzi e nelle ragazze, permette l’accesso a culture e all’interculturalità, la quale a sua volta educa al superamento di stereotipi, pregiudizi e discriminazione verso l’altro/a diverso/a da sé in un’ottica di decentramento cognitivo.

Il bilinguismo aiuta alla comprensione delle strutture linguistiche ed abilita alla metalinguistica. In conclusione, l’approccio precoce al bilinguismo permette di fare esperienza nella vita futura e di porre le basi per una reazione positiva ai cambiamenti normativi e para-normativi che nel percorso dell’esistenza si presenteranno inevitabilmente; è come avere maggiori strumenti cognitivi, un abbecedario esperienziale più ricco, per affrontare le sfumature della vita, una sorta di esperienza di risveglio che aiuterà nel futuro.

 

Bilinguismo perché?

  • Per la fertile potenza esperienziale promotrice di sviluppo.
  • Per la plasticità neuronale del cervello nei primi anni di vita.
  • Per favorire le capacità cognitive e la socializzazione.
  • Per smussare l’egocentrismo e porsi empaticamente nei panni dell’altro in un continuo scambio fecondo tra il “dentro di me” e il “fuori di me”.
  • Per permettere l’accesso a culture differenti e, attraverso un decentramento cognitivo, favorire l’inclusione il superamento di stereotipi, pregiudizi e discriminazioni.
  • Per aiutare a comprendere le strutture linguistiche ed abilitare alla metalinguistica.
  • Per disporre di maggiori strumenti nell’affrontare i cambiamenti e le esperienze della vita.
  • Per connettere i vari linguaggi in una visione sinergica: lingua, corpo, espressività, motricità.
  • Plurilinguismo per rafforzare l’identità, la cittadinanza europea e la conoscenza della società liquida in perenne trasformazione (multiculturalità, multilinguismo). Più lingue conosciamo, più ricca diventa la nostra conoscenza umana.
  • Promuovere competenze linguistiche necessarie lungo l’intero arco della vita per lo sviluppo sul piano socio-politico, socio-psicologico, personale e professionale (M. Dodman). Le lingue si apprendono se usate per apprendere nuove conoscenze/esperienze altrimenti sono prive di valore; la lingua media l’esperienza (M.Dodman).
  • Rafforzare il periodo sensitivo, la mente assorbente e la mente cosciente (così come indicava a suo tempo Montessori).
  • L’incontro con la lingua inglese avviene in un contesto ludico e giocoso (col-ludere = giocare insieme) garantendo un coinvolgimento attivo e rafforzando la motivazione intrinseca ed estrinseca da parte dei/delle bambini/e (binomio tra approccio ludico e glottodidattica). L’assunto del metodo è che l’efficacia è maggiore se l’intento non è tanto quello di imparare una lingua (ciò che sappiamo di una lingua), ma di imparare ad usare una lingua (come usiamo ciò che sappiamo in una lingua). Imparare ad usare una nuova lingua, o più lingue, permette di “aprire gli scenari” del proprio “teatro di vita” e di rapportarsi al mondo in modalità aperta, accogliente e flessibile; in questo modo sarà possibile superare le rigidità dell’etnocentrismo, della mono-cultura, dell’isolamento, dell’esclusione, del monologo, dell’egocentrismo e della divisione. Scenari di vita, teatri di vita veicolati dal metodo di apprendimento per script, o copioni, intesi come matrici di apprendimento linguistico.

 

Bilinguismo come?

  • Pedagogia naturale e del “Buon Senso”.
  • Proporre e non imporre (base per ogni “buona pratica” educativa).
  • Bambino e bambina, attivi e in movimento (vedere, ascoltare, fare, inventare, sperimentare).
  • Progettazione adeguata (si vedrà in seguito, le linee guida di un progetto didattico linguistico), non calata dall’alto.
  • Clima laboratoriale, democratico e relazionale, dotato dei seguenti “attrezzi” (visibili e invisibili):
  • Giocare insieme (il gioco è il “lavoro”, anche terapeutico, del/la bambino/a; giocare è soprattutto “rilassante” e indirettamente “performante”; il gioco coinvolge, motiva e ri-equilibra le dinamiche relazionali).
  • Le emozioni come corsie preferenziali.
  • Cantare insieme (la musica e il canto sono potenti mezzi di trasmissione giocosa del sapere; farlo tutti insieme potenzia l’acquisizione del nuovo; inventare canzoni sulle note già conosciute).
  • Mimare/drammatizzare insieme (i linguaggi si devono amplificare e rafforzare a vicenda poiché l’approccio olistico, al tutto, supera l’innaturale settorialismo dell’educazione).
  • Ballare insieme (la psicomotricità insegna che psiche e sviluppo psichico si tengono per mano con lo sviluppo motorio).
  • Ripetere insieme (“insieme” è sempre meglio che “soli”, per evitare timori, paura di sbagliare, paura di dimenticare e per sentirsi un “noi”, un gruppo, “parte” e non disparte). Ripetizione-appaiamento-coralità.
  • Maestra/o “magica/o”: facilitatore/facilitatrice, consulente, attore/attrice, osservatore/osservatrice (uso di feed back positivi che alleggeriscono e facilitano le dinamiche adulto/bambino).
  • Personaggi guida o strumenti mediatori (musica, filastrocche, ninna nanne, personaggi narrativi, personaggi animati ecc.) che fungono da ponte tra il/la bambino/a e la lingua inglese.
  • Pedagogia degli “script” o didattica per copioni.
  • Sequenza linguistica: suono, ascolto attivo, comprensione, parola, acquisizione della parola, interazione dei linguaggi, parlare…
  • È possibile partire anche da semplici parole (non ci devono essere livelli di partenza specifici della conoscenza linguistica da parte degli adulti).
  • Combinazione di metodo diretto, comunicativo e affettivo.

Bilinguismo quando?

  • Nelle ripetitività delle routine di ogni giorno
  • I saluti all’ingresso e all’uscita da scuola
  • Nei momenti dedicati all’igiene personale
  • Durante il pasto o la merenda
  • In occasione della siesta
  • Negli eventuali imprevisti della giornata
  • Nell’interazione con i genitori e le famiglie
  • Come ampliamento ai progetti didattici previsti
  • Durante le ricorrenze, stagioni, festività
  • Come atelier permanente in uno spazio adibito specifico
  • Bilinguismo come “ospite” che in punta di piedi si fa via via più desiderato e atteso.

di Ieris Astolfi e Simona Ubertiello

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