APPRENDIMENTO E PANDEMIA
Immaginiamo una città vista dall’alto, le ramificazioni stradali e le connessioni tra centro e periferia: si vedrà che tutto è collegato e, pur essendovi arterie stradali più conosciute, ve ne sono tante, molte più, poco frequentate ma, le une non possono sussistere senza le altre dal momento che il movimento e la circolazione necessitano di entrambe (secondo i casi, le necessità e le preferenze). Così è la città natale dell’apprendimento individuale, vie principali e vie secondarie tracciano la mappa della personale e variegata modalità di apprendere, di conoscere il nuovo. Non ci sono metodi di apprendimento superiori e migliori rispetto ad altri, giusti o sbagliati in assoluto, perché imparare è un bisogno dell’uomo che nella sua unicità trova più consoni alcuni mezzi, alcune strade, di apprendimento rispetto ad altri. Solo dalle motivazioni del singolo può partire la spinta ad apprendere, tutto il resto è puro, sterile, enciclopedismo mnemonico, più idoneo ad un automa che all’uomo pensante. La strada definita a torto maestra dell’apprendimento, quella cioè della lezione frontale e sfrontata, priva di alleanza educativa, empatia e relazione interpersonale, ha subito un arresto con l’avvento della pandemia, provocando un corto circuito metodologico sulle cattedre, nelle cattedrali del sapere e sotto gli scranni della docenza. Di conseguenza si è gridato allo scandalo, all’inappropriatezza degli strumenti di apprendimento digitali e della didattica a distanza. Perché, prima del Covid, non era ugualmente a distanza? a distanza dalla reciprocità pedagogica, dall’ascolto, dalla connessione umana tra educatore ed educando? Ogni fondamentalismo didattico, ogni chiusura verso il nuovo, ogni ottusità o rigidità cognitiva, non porta ad alcuna evoluzione pedagogica, del singolo e della collettività; non solo, perché ciascuna metodologia ha sia lati positivi che negativi, i quali variano da individuo a individuo, da contesto a contesto, da viaggio a viaggio. Che fare allora? Proporre e non imporre, aprirsi e sperimentare il nuovo, soprattutto individualizzare ogni apprendimento, creare connessione, cercare soluzioni, cambiare e provare, osare e capire, scambiarsi l’un l’altro, mettersi nei panni dell’altro e ascoltare, tanto ascoltare, insieme, insegnante e allievo. La propria città dell’apprendimento si costruisce e si espande percorrendo ogni strada, col navigatore del saper essere ancor prima del solo anaffettivo sapere. Strade vecchie, strade nuove e nuovi quartieri cognitivi permettono quella plasticità neuronale che consente la crescita, la maturazione e lo sviluppo della civiltà. L’apprendimento è un viaggio che parte dalla propria città interiore alla scoperta del mondo superando le barriere di confine ideologiche e dogmatiche.
di Ieris Astolfi